LE LUCI DELLA SCATOLA TEATRALE
La scena si sviluppa essenzialmente dall’elaborazione di un’idea centrale: Macbeth è una macchina, non può fare altro che seguire il proprio destino spinto da un mondo che è esso stesso una grande macchina, dentro la quale Macbeth si ingrana, manovrato dalla Lady che appiana ogni suo dubbio, offuscando qualsiasi idea o desiderio di “ bene”.
Una serie di apparizioni tortureranno la coscienza di Macbeth: sono i fantasmi che appariranno in scena a volte come personaggi del racconto (alcuni assassinati), a volte come simboli, metafore; saranno mani che lo vogliono toccare, spade che cadranno pesantissime dall’alto rimbombando al suolo come a ricordare la sparizione di qualcuno ucciso violentemente…: queste ed altre presenze, evocazioni che non potranno fare nulla se non accellerare l’inevitabile consumarsi della tragedia.
La collaborazione con Liberovici nasce per caso alcuni anni or sono. Avevamo capito come con mezzi diversi stavamo percorrendo strade parallele e quindi ci augurammo di poter realizzare in futuro uno spettacolo insieme. Nasce e cresce così l’idea del Macbeth, alla quale lavoriamo utilizzando entrambi mezzi tecnologici piuttosto sofisticati. Liberovici “raccoglie” e trasforma suoni, rielabora pezzi di musica e voci che, a poco a poco, si avvicinano arrivando alla composizione finale, il “remix”. Io percorro strade parallele, raccolgo immagini, emozioni, sensazioni impossibili, procedo a tentativi, distruggo, ricostruisco, frullo tutto, dipingo: esce un collage. Non faccio bozzetti, le matite sono in bianco e nero, producono linee nette: ti inchiodano.
E’ il colore che mi guida nel buio, verso percorsi nuovi, verso emozioni e forme inconsuete. Infine il risultato, l’immagine che definisco e ritocco, lasciando il resto del viaggio in mano alle magiche luci della scatola teatrale.
Filippo Garrone